Maria “salus infirmorum” e l’infermeria nei conventi

DE BEATA VIRGINE MARIA (Hymni latini medii aevii di F. J. Mone, II, 1854, n. 484.

Ave coelorum regina,
ave morum disciplina,
via vitae, lux divina,
virgo, mater, filia.

Ave templum sanctum dei,
fons salutis, porta spei,
ad te currunt omnes rei
plena cum fiducia.

Ave mater salvatoris,
vas virtutum, flos honoris,
medicina peccatoris,
pia mater domini.

Ave mater Jhesu Christi,
virgo deum genuisti,
per virtutem ascendisti
dans salutem homini.

Ave salus infirmorum
et solamen miserorum,
dele sordes peccatorum
te laudantum, domina.

Ave, per quam salus datur,
per quam luctus devastatur,
nobis plausus tribuatur
inter coeli agmina. Amen.

Ave, regina del cielo,
disciplina dei costumi,
via della vita, luce divina,
vergine, madre, figlia.

Ave, santo tempio di Dio,
fonte di salvezza, porta di speranza,
tutte le cose corrono da te,
con piena fiducia.

Ave, Madre del Salvatore,
vaso di virtù, fiore d'onore,
medicina del peccatore,
pia madre del Signore.

Ave, Madre di Gesù Cristo, vergine, hai dato alla luce Dio,
sei ascesa per virtù
dando la salvezza all'uomo.

Ave, salute degli ammalati,
e conforto dei poveri,
cancella la sporcizia dei peccatori,
che ti lodano, signora.

Ave, tramite lei è data la salvezza,
tramite lei il lutto è devastato,
da noi sia tributato il plauso,
tra le schiere del cielo. Amen.

I MALATI E L’INFERMERIA DEI SERVI

È cosa nota nei Vangeli: Gesù operò in terra, guarendo chi era ammalato e predicando la salute dell’anima. È ‘conseguente’ che, venerando la Madre Salus infirmorum, i Servi di Maria si occupassero della guarigione dei confratelli ammalati.
La cura sollecita è ricordata già nelle prime Costituzioni (1257), segno di grande sensibilità per la fragilità del corpo e dell’anima che ne risente le conseguenze.
Humanissime è detto il modo di guarigione; si traduce con ‘umanamente’, anche se la parola italiana non esprime in pieno il significato di realismo del latino. Ecco il testo:

14. Che in ogni convento sia disposta un’infermeria, nella quale gli infermi e gli invalidi stiano a letto e umanamente si riprendano. Se vi fossero dei lebbrosi, siano separati dagli altri infermi; tuttavia siano curati in una sala recintata del monastero. Se ciò per una causa legittima non potesse accadere, siano trasferiti dal generale o da colui che presiede in un altro convento dell’Ordine.

In obbedienza a tali norme nel corso dei secoli l’infermeria fu considerato un ambiente importante dei conventi. I registri di amministrazione di tutti i tempi riportano sempre le spese per la costruzione delle stanze (quando erano necessari ampliamenti o rinnovi), per il medico e per le medicine o gli alimenti a sostegno del corpo.
Riposo dalle fatiche quotidiane, deroga dai digiuni, cibo adeguato – pane bianco, brodo di pollo, acqua di rose, orzo ecc. – e attenta sollecitudine erano i rimedi più conosciuti in epoche che non beneficiavano dei progressi della medicina.
L’attenzione verso i malati d’altronde fu un sentire che andò oltre le Costituzioni ed è ricordata anche nelle tradizioni, nelle agiografie e nei testi devozionali.
La pietà e la sollecitudine di San Filippo si manifestò verso il lebbroso incontrato lungo la strada con il dono della sua tonaca, nei riguardi degli abitanti del Monte Amiata quando fece sgorgare la fonte curativa e, dopo il suo decesso nei confronti della donna rattrappita, del fanciullo cieco, del ragazzo morto.
Allorché San Filippo si avvicinò alla fine ed era in agonia, il beato Ubaldo († 1315) si mise in viaggio verso Todi per aiutarlo nel trapasso; il beato Gioacchino da Siena († 1305) invece si addossò la malattia di un epilettico poco paziente e poco cristiano, ben sapendo che non avrebbe avuto effetti sulla sua anima.
Per fare altri esempi San Pellegrino Laziosi († 1345) soffrì di una cancrena alla gamba e venne guarito dal Crocifisso; il beato Pietro della Croce sanò gli appestati di Viterbo con il segno della croce e, sentendosi vicino alla morte (1522), chiese il dono di poter vestire l’abito dei Servi di Maria.
Andando avanti nei secoli, molti Servi e Serve si distinsero per compassione e devozione: la Beata Maddalena da Carpi (sec. XVI), terziaria questuante, prediletta dai bambini, che risuscitò un ragazzo morto, figlio del governatore di Carpi; e la ven. suor Urizia Galgani (sec. XVI), ragazza inquieta, moglie e madre, poi Mantellata piena di sollecitudine per gli infermi nei quali vedeva il corpo sofferente di Cristo.
E ai nostri tempi sono esempi Maria Maddalena Starace († 1921) che fondò la Congregazione delle Suore Compassioniste dei Servi di Maria per il conforto di anziani e malati, fra Venanzio M. Quadri († 1937) e Maria Valtorta († 1961) che sopportarono con coraggio malattie incurabili e anzi ne trassero alimento per elevare la loro spiritualità.

Nel caso di San Filippo e del Beato Pietro si vede come l’abito sia legato alla guarigione; una lettura in trasparenza fa capire che, oltre la vicenda reale, è l’appartenere ai Servi e il praticare la loro pietà verso i sofferenti che guarisce le ben più gravi malattie dell’anima.

Paola Ircani Menichini, dicembre 2007 - 27 gennaio 2023.
Tutti i diritti riservati.




L'articolo
in «pdf»